
In 10 anni l’Italia potrebbe perdere fino a 3 milioni di persone in età lavorativa. Secondo l’Ufficio studi della Cgia, l’invecchiamento della popolazione aumenta il rischio per la tenuta dei conti pubblici, il futuro del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del turismo. L’unico vantaggio potrebbe riguardare le banche.
Il declino demografico, quindi, potrebbe portare a un progressivo rallentamento del Pil, con le piccole e medie imprese tra le più penalizzate. Le contrazioni maggiori potrebbero verificarsi nel Mezzogiorno, in particolar modo in Sardegna, Basilicata e Puglia.
3 milioni di lavoratori in meno
Secondo la Cgia di Mestre, nei prossimi 10 anni in Italia si perderanno 3 milioni di persone in età lavorativa (-7,8%). La fascia demografica potenzialmente occupabile conta oggi 37,3 milioni di persone, ma nel 2035 potrebbe scendere a 34,4 milioni.
Il dato è da attribuire all’invecchiamento demografico e non solo. Si legge:
Con un numero sempre più ridotto di giovani e un consistente gruppo di baby boomer prossimo all’uscita dal mercato del lavoro per raggiunti limiti d’età, il nostro Paese rischia lo spopolamento della coorte anagrafica potenzialmente occupabile.
Rallentamento del Pil
Secondo i dati analizzati, il declino demografico e l’instabilità geopolitica porteranno nei prossimi anni a un progressivo rallentamento del Pil. I problemi sono molteplici, come ad esempio il difficile avvicinamento delle categorie giovani a lavori artigiani, commerciali o industriali, ma non solo.
Sembra infatti che neanche un’inversione del trend demografico potrebbe risolvere la crisi, perché i tempi di risoluzione sarebbero da considerarsi “lunghi”, mentre la crisi è dietro l’angolo.
In molti casi si parla quindi dell’introduzione di manodopera straniera o il riconoscimento della cittadinanza (per cui si va a votare nel mese di giugno). Secondo la Cgia di Mestre, questo non basterebbe e, di conseguenza, “dobbiamo prepararci a un aumento della spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale”.
Pmi e Mezzogiorno più a rischio
Gli attori più colpiti potrebbero essere le piccole e medie imprese e, più in generale, il Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Infatti, il Sud e le isole presentano già oggi tassi di disoccupazione e inattività più elevati, che potrebbero peggiorare nei prossimi 10 anni.
La differenza invece tra Pmi e grandi imprese è che queste ultime hanno la possibilità di offrire salari superiori, orari flessibili e una serie di benefit. Per questo motivo i giovani potrebbero preferire simili realtà, portando a una lenta e inesorabile crisi delle imprese più piccole, che non hanno la stessa forza contrattuale.
Nel report si legge che l’unico settore in grado di crescere in questo scenario è quello bancario, perché potrebbe beneficiare di una maggiore inclinazione al risparmio rispetto al passato e di una popolazione anziana che aumenta il valore economico attraverso depositi, favorendo così proprio le istituzioni creditizie.
La classifica: calo record a Napoli
Quello che emerge dal report è quindi una sorta di classifica delle zone più a rischio, con un focus particolare proprio sul Mezzogiorno. Infatti, dei 3 milioni di persone in meno in età lavorativa, la maggior parte (oltre la metà) interesserà proprio le regioni del Sud.
Nella classifica:
- Sardegna con una riduzione del 15,1% (-147.697 persone);
- Basilicata con il -14,8% (-49.685 persone);
- Puglia con il -12,7% (-312.807 persone);
- La Calabria con il -12,1% (-139.450 persone);
- Molise con il -11,9% (-21 mila 323 persone).
Reggeranno meglio invece le regioni del Trentino-Alto Adige, della Lombardia e dell’Emilia-Romagna. Ma in ogni caso, tutte le province sono destinate alla riduzione della popolazione lavorativa, nessuna esclusa.
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