7 Maggio 2025
Beni confiscati alla criminalità, il ruolo dei commercialisti. “Chiamati a ricostruire legalità e sostenibilità economica”


Firenze, 6 maggio 2025 – Legalità, sostenibilità economica e impatto sociale. Sono questi i pilastri della gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Un tema sempre più rilevante non solo sotto il profilo giuridico, ma anche per le ricadute economiche e occupazionali sui territori. Ne parliamo con Laura Tedesco, dell’Associazione Nazionale Commercialisti Firenze, esperta in amministrazioni giudiziarie.

Qual è, secondo lei, la funzione sociale della gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata?

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“La funzione è eminentemente sociale ed economica. La normativa di riferimento, dal Codice Antimafia (D.lgs. 159/2011) alla storica legge Rognoni-La Torre, che ha introdotto nel codice penale il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis), i sequestri e le confische, è costruita per colpire i patrimoni illeciti, seguendo la logica del follow the money. Ma la gestione di questi beni ha anche un valore simbolico: restituisce alla collettività ciò che era stato sottratto con la violenza o l’intimidazione mafiosa. È un segnale chiaro: la legalità paga. Noi amministratori giudiziari entriamo nelle aziende in punta di piedi, ricordandoci sempre che “agiamo per conto di chi spetta” che potrebbe essere lo Stato nel caso si arrivi a una confisca definitiva, ovvero per conto del proposto (il soggetto che ha subito la misura ablativa). Il nostro obiettivo è anche quello di mantenere i posti di lavoro, eliminando il vuoto sociale che la chiusura di un’azienda irrimediabilmente genererebbe, oltre a garantire legalità per chi lavora e per la comunità”.

Ha un esempio concreto?

“Sì. In un sequestro ci siamo trovati di fronte a dipendenti formalmente assunti per otto ore ma che ricevevano stipendi inferiori, restituendo parte dello stipendio al datore di lavoro. Abbiamo regolarizzato tutto: orari, retribuzioni, contributi. Questo fa capire quanto fosse alterato il rapporto di lavoro. Intervenire significa anche ristabilire diritti fondamentali”.

Quali distorsioni del mercato genera un’impresa mafiosa?

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

“Innanzitutto abbatte i costi attraverso il lavoro nero, l’evasione fiscale, il riciclaggio. È concorrenza sleale allo stato puro. Un’azienda che non paga Iva contributi e imposte, può permettersi di vendere a prezzi inferiori e questo danneggia il mercato sano, scoraggia l’imprenditoria onesta e altera le dinamiche economiche locali”.

Ha esperienza in settori specifici?

“Abbiamo operato, in settori che avevano rapporti commerciali internazionali – in particolare con Russia e Cina – utilizzati anche per movimentazioni di capitali sospette. Laddove ci sono grandi flussi finanziari o facilità di movimentazione di beni, il rischio di infiltrazione mafiosa aumenta”.

Si parla sempre più spesso di false fatturazioni e Iva non versata. Che ruolo gioca tutto questo nella criminalità economica?

“Un ruolo centrale. Il meccanismo è semplice: società cartiere emettono fatture per operazioni inesistenti, soggette a Iva. L’azienda ‘cliente’ detrae l’Iva senza che vi sia stato alcun servizio o bene realmente fornito. L’Iva non viene versata, ma viene detratta, generando un danno erariale enorme. Alcune società esistono solo su carta, hanno immobilizzazioni fittizie, non ricevono nemmeno fatture per utenze: la loro ‘attività’ si riduce all’emissione di documenti contabili falsi”.

Ci sono casi recenti anche in Toscana?

“Sì, in particolare nel distretto tessile di Prato. Abbiamo assistito a una proliferazione di imprese che seguono lo stesso schema: nascono, operano due o tre anni, chiudono e riaprono con altri soggetti. In molti casi si tratta di imprese che non pagano Iva né contributi, lavorano con personale irregolare e reinvestono gli utili in altre attività illecite. Queste imprese falsano completamente il mercato, portando anche alla decozione di altre imprese”.

Quali difficoltà incontrate voi commercialisti nella gestione di questi beni?

Microcredito

per le aziende

 

“Gestire un’azienda costituisce una sfida, siamo chiamati ad operare in multidisciplinarietà, si deve inoltre intrattenere e gestire rapporti non soltanto con l’autorità giudiziaria, e con i soggetti sottoposti a misura, ma quando gestiamo aziende, anche con tutti i soggetti che intorno alle aziende gravitano, con i dipendenti, con i fornitori, con i clienti, con gli istituti di credito, con la pubblica amministrazione in genere. Pensiamo inoltre al clima che troviamo in azienda all’atto della nostra nomina, sicuramente non favorevole, almeno all’inizio. Consideriamo poi che i compensi arrivano dopo molti mesi e anche di più, nel frattempo dobbiamo anticipare costi, spostarci su tutto il territorio nazionale, operare in contesti molto delicati, con rischi legali ed economici notevoli. Se la situazione non cambia, rischiamo che sempre meno professionisti accettino incarichi così onerosi”.

Il compenso varia anche in base al tipo di gestione?

“Esatto. Il decreto ministeriale prevede una distinzione tra la figura dell’amministratore giudiziario nel caso in cui assuma anche il ruolo di “amministratore iure privatorum”(legale rappresentante, o anche consigliere di amministrazione), ovvero quando il ruolo privatistico resti, in capo a soggetti diversi. Tale duplice possibile veste prevede una diversa modalità di determinazione del compenso. Se l’amministratore giudiziario gestisce attivamente l’impresa, riceve un compenso più alto. Ma parliamo di realtà molto complesse e articolate. Le vicende che hanno coinvolto una importante casa di moda italiana, hanno visto l’amministratore giudiziario in affiancamento al management esistente, in funzione di controllo e garanzia di legalità. Ma le competenze specifiche di settore non possono essere improvvisate”.

Eppure la responsabilità è enorme.

“Lo è eccome. Alcuni di noi sono stati chiamati a gestire realtà coinvolte in eventi tragici, come il crollo nel cantiere di via Mariti a Firenze, in cui sono morte cinque persone. In questi casi, le responsabilità non sono solo economiche, ma anche civili e morali. Si tratta di un’attività che richiede grande competenza, rigore etico e disponibilità personale. Ma deve essere sostenuta adeguatamente. Altrimenti si rischia di compromettere tutto il sistema”.

Legalità, lavoro, sostenibilità. In una parola, responsabilità.

“La gestione dei beni confiscati è un’opportunità per costruire un’economia più giusta. Ma deve essere una responsabilità condivisa tra Stato, professionisti e società civile. Il commercialista non è solo un tecnico dei conti: è, in questi casi, un presidio concreto di legalità economica”.

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