
Tra classificazioni statistiche, regolamenti europei e saldi di
finanza pubblica, la questione dei crediti fiscali derivanti dal
Superbonus torna a occupare il centro del dibattito. Questa volta
non si tratta di una circolare o di una FAQ interpretativa, ma di
un atto formale: un esposto alla Procura Generale della
Corte dei Conti presentato da CANDE – Class Action
Nazionale dell’Edilizia, associazione che rappresenta
oltre 250 imprese e professionisti del settore.
L’obiettivo? Fare chiarezza sulla legittimità della
classificazione contabile dei crediti fiscali maturati nel
2023 e verificare se, nel rappresentare in bilancio una
spesa mai effettivamente sostenuta, si sia prodotto un danno
erariale. Il tema riguarda non solo le modalità con cui lo Stato ha
gestito contabilmente i bonus edilizi, ma anche le ricadute
concrete su migliaia di imprese e contribuenti che non
hanno potuto utilizzare quei crediti né in compensazione né in
cessione.
Crediti “pagabili”, ma inutilizzabili
Il cuore dell’esposto è chiaro: come si possono
considerare “pagabili” dei crediti che non possono essere usati,
ceduti o rimborsati? Secondo CANDE, la classificazione
adottata da ISTAT – fondata sui nuovi criteri introdotti
dall’aggiornamento 2022 del Manual on Government Deficit and Debt
(MGDD) – ha permesso al Governo di registrare nei conti
pubblici una spesa fittizia per l’intero ammontare dei crediti
maturati, gonfiando il deficit ESA B.9 ma
senza che tali crediti siano stati effettivamente fruiti
dai beneficiari finali.
In altre parole, mentre i documenti ufficiali parlano di risorse
destinate a famiglie e imprese, nella realtà si è trattato
di una partita puramente contabile, perché quei crediti –
privati delle opzioni alternative (sconto in fattura e cessione)
dal D.L. n. 11/2023 prima e dal D.L. n. 39/2024 poi – sono
rimasti bloccati nei cassetti fiscali, spesso svenduti
all’asta o, peggio, del tutto inutilizzabili.
La ricostruzione tecnica: dai conti pubblici al danno
erariale
Nell’esposto si contesta in particolare:
- la legittimità della classificazione
“pagabile” dei crediti Superbonus, in contrasto con il
Regolamento (UE) n. 549/2013 (SEC 2010), che richiede l’effettivo
rimborso per definire un credito come tale; - l’impatto contabile indebito sulle voci B.9
(saldo netto di finanziamento), D.5 (entrate tributarie) e D.75
(trasferimenti correnti) del Sistema Europeo dei Conti; - la possibile creazione di margini fiscali non
giustificati, che avrebbe consentito al Governo di
spendere di più altrove, pur in assenza di un reale esborso per i
bonus edilizi; - la vendita coatta all’asta dei crediti
fiscali, svuotati di valore proprio dalla
riclassificazione adottata; - la necessità di attivare strumenti di responsabilità
contabile, qualora fossero accertate irregolarità nella
rappresentazione delle poste di bilancio; - la richiesta urgente di un meccanismo di
rimborso per i crediti incagliati, soprattutto a beneficio
di imprese e soggetti incapienti.
Parallelamente, CANDE ha anche avviato una procedura presso la
Commissione Europea (prot. CPLT 2024-01889) per presunta
violazione del diritto dell’Unione, portando così
la questione a un livello sovranazionale.
Contabilità creativa o tutela dei conti?
Il caso solleva una questione più ampia: può lo Stato
contabilizzare come spesa pubblica un credito d’imposta che, di
fatto, non ha generato alcun trasferimento né benefici fiscali per
il destinatario?
Secondo CANDE la risposta è no. E se Eurostat ha aperto alla
classificazione “ibrida” dei crediti “pagabili ma non
rimborsabili”, il SEC 2010 – cioè il regolamento europeo di
riferimento – resta più rigoroso: un credito è pagabile
solo se lo Stato si impegna a restituirne l’eccedenza non
utilizzata. Qualsiasi altra interpretazione, pur ammessa
in chiave statistica, rischia di allontanare la contabilità dalla
realtà e di generare squilibri non dichiarati.
Conclusioni
L’esposto di CANDE non è solo un atto tecnico, ma una presa di
posizione politica e sociale. Le parole del Presidente Roberto
Cervellini sono eloquenti: “Lo Stato ha costruito una facciata
contabile, mentre lascia i cittadini senza casa e le imprese senza
futuro. Non lo permetteremo”.
Difficile dargli torto: se la classificazione contabile serve a
fotografare la realtà economica di un Paese, oggi la fotografia
appare ritoccata. E mentre l’immagine ufficiale mostra un Paese che
spende per sostenere imprese e famiglie, sul campo restano
crediti incagliati, imprese fallite e cantieri
abbandonati.
La Corte dei Conti è chiamata ora a verificare se tutto questo
sia accaduto nel rispetto delle regole. Il settore, intanto,
aspetta risposte.
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