12 Maggio 2025
Fabriano, una città sotto shock


Dall’alto Fabriano è un reticolo di vie tra tetti di tegole rosse e il fiume Giano. Più giù, tra i loggiati intorno alla piazza e nell’area di fabbriche che ha reso grande in Italia e all’estero questa piccola cittadina delle Marche, il lavoro era prima artigianale e poi industriale.

Un giorno sono arrivate le multinazionali e la finanza, con loro un lento declino. Oggi, Fabriano è «sotto shock», come racconta la sindaca Daniela Ghergo: «Una ferita emotiva che sembra impossibile sanare».

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Nel giro di poche settimane i pilastri che reggevano l’occupazione anche del territorio circostante sono crollati. Gli ultimi, con l’accordo Beko siglato dal governo. Al comune risultano duecentoquattro esuberi tra impiegati e dirigenti. Il centro di ricerca e sviluppo verrà chiuso. «Cercheranno di ricollocarsi altrove, lasciando questa terra così come hanno già fatto in molti».

È questa la previsione della sindaca, che ci racconta che se «tra gli impiegati di Beko e quelli italiani c’è sovrapposizione, la proprietà salva i turchi, lasciando a casa giovani fabrianesi con mutui e figli piccoli, disperdendo la manodopera specializzata che si è formata qui. Si festeggia per un accordo che poteva essere più penalizzante a livello nazionale, ma visto da qui non c’è nulla da festeggiare». ». A maggio l’impianto fabrianese che produce piani cottura sarà in cassa integrazione per 17 giorni su 21 disponibili, «uno dei mesi peggiori dal punto di vista produttivo», dice il segretario provinciale della Fiom Pierpaolo Pullini.

Il fu elettrodomestico

Questo era il cosiddetto distretto del bianco, e cioè degli elettrodomestici. Tra queste colline c’era il primo centro di produzione mondiale di cappe aspiranti, è rimasta solo Elica. Soprattutto, qui è nata la dinastia di imprenditori Merloni e fin dal Dopoguerra l’azienda di elettrodomestici diventata famosa in tutto il mondo, ha cambiato il volto del territorio, formando e attraendo addetti alla meccanica.

Poi il nome dell’impresa è diventato Indesit, la definivano una multinazionale tascabile, sinonimo di internazionalizzazione, di prodotti di largo consumo, di una famiglia alla guida di decine di migliaia di operai. Nel 2016 il marchio è stato acquisito dagli americani di Whirlpool, che poi ha ammainato la bandiera a stelle e strisce e alzato quella turca di Beko. Tra i siti italiani, il voto in quelli marchigiani sulla vertenza è stato il più sofferto: su 461 dipendenti hanno votato in 253, di cui 148 sì – il 58,5 per cento – 92 no e 13 schede nulle.

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Si è abbattuta su Fabriano e ha abbattuto gli animi, questa partita dalla narrazione vincente tra il ministero di Adolfo Urso e il gruppo turco. Già a febbraio, i sindacati facevano i conti della situazione sul territorio: 3.500 persone iscritte nel centro per l’impiego su nemmeno 29mila abitanti che sono «per lo più in età avanzata». Ben 180 le imprese scomparse in un anno secondo la Cna locale.

«È in arrivo un’ondata di possibili licenziamenti in tutti i settori, dovuti alle riorganizzazioni», ha avvertito Pierpaolo Pullini, coordinatore della Camera del lavoro di Fabriano, segnalando che da queste parti «il lavoro femminile è sempre più precario».

Andrea Cocco è un sindacalista della Cisl locale e traccia il ritratto di un ex territorio padronale che si è venduto alle multinazionali e da allora ha visto una politica di «riduzione di costi, facendo discutere sull’impatto sociale di ogni scelta. Non posso dirle che non ci rendiamo conto che il mondo è cambiato, è vero, ma il cambiamento ha di fatto portato a continue riorganizzazioni, anche con l’avvento della concorrenza dei paesi dell’Est che hanno cominciato a produrre sempre più a basso costo. Senza contare che questa è un’area interna di una regione del Centro, e quindi non attrattiva per i giovani, che non si fermano e scelgono le coste o le grandi città. Eravamo in 34mila».

Il problema della carta

La sindaca Ghergo tratteggia anche un problema identitario sia della crisi del bianco, tradizionalmente il settore più forte, sia dovuto alla crisi della carta: l’accordo al ministero delle Imprese e del made in Italy riguarda altri 166 lavoratori. Solo 82 dipendenti della Giano Srl, dismessa a fine 2024 dal gruppo Fedrigoni, sono stati ricollocati.

Nomen omen, gli abitanti di Fabriano si sono distinti, fin dal 1200, per l’arte della carta. Si racconta furono gli arabi a far apprendere ai fabrianesi come crearla con il cotone. Durante la rivoluzione industriale l’intraprendenza di Pietro Miliani fondò le Cartiere riunendo gli artigiani, e fu leader del settore. Ma le cartiere sono state vendute a Fedrigoni nel 2002, poi cedute a Bain Capital private equity nel 2017.

«Ho sentito parlare anche il ministro Urso delle cartiere di Fabriano come di un emblema del made in Italy, ma quanto è accaduto dai cittadini è vissuto come una sconfitta, un fallimento», dice la prima cittadina, «e non lo dico per un dato partitico, politico: è stata l’impostazione di decenni del governo centrale a permettere ai fondi di acquisire marchi e quote e poi chiudere e far sì che il valore aggiunto della zona si spostasse altrove. Il cerino in mano resta ai comuni, che non hanno risposte né strumenti. Non voglio essere catastrofica, sono realista: la città si è fermata, si respira un’aria forse peggiore di quella durante il Covid, siamo con il fiato sospeso e speriamo di non venire abbandonati, non sapendo quale sarà il nostro futuro».

Restano solo i patrimoni

Fa un salto indietro Lorenzo Castellani, fabrianese, storico, collaboratore di questo giornale e docente alla Luiss nel dipartimento di Scienze delle istituzioni politiche. «Dagli anni ‘50 a vent’anni fa Fabriano è stato uno dei primi 20 comuni per Pil pro capite in Italia. In modo stabile. Dagli anni Ottanta abbiamo persino dovuto importare manodopera dal Sud e dall’estero».

Oggi, dice Castellani, «ai Merloni è rimasta Mts, che è una grande azienda che va bene, mentre il resto è andato. La Cassa di risparmio è finita a Intesa nella disgraziata vicenda delle banche marchigiane. Restano delle pmi che vanno ancora bene – una delle quali della mia famiglia nel settore chimico – ma assorbono poca occupazione essendo altamente produttive». Sintetizza Castellani: «Eravamo una piccola cittadina isolata con un Pil pro capite “lombardo”, oggi restano i patrimoni, ma è difficile sottrarli alla rendita immobiliare o finanziaria per canalizzarli in nuove aziende sul territorio».

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«Non ci serve l’assistenzialismo», rilancia Ghergo che di recente ha dato mandato per diffidare il gruppo Fedrigoni dall’utilizzare o concedere il nome Fabriano per produzioni fuori dal territorio. «Soprattutto la vicenda Merloni ha portato in queste terre due decenni di politiche assistenziali che hanno ridotto la capacità produttiva e creativa delle persone. Qui servono politiche di sviluppo: defiscalizzare, supportare chi decide di investire qui con incentivi».

«Mancano le politiche attive», aggiunge Cocco: «Formazione e riqualificazione sono del tutto assenti». Le Marche andranno al voto in autunno. L’ex sindaco di Pesaro del Pd Matteo Ricci sfiderà il presidente uscente Francesco Acquaroli. L’esponente di FdI ha commentato la chiusura della vertenza Beko come «il miglior risultato possibile» e promesso la tutela per i marchi dell’elettrodomestico in regione. Punta anche sul rilancio delle aree interne e pure Ricci ci investe. Per Beko, Ricci ha chiesto vigilanza sugli investimenti promessi dai turchi nell’accordo e ha annunciato che se verrà eletto darà soldi a fondo perduto per il sostegno alle coppie giovani che sceglieranno le aree interne.

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