
L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ha da poco presentato il suo Rapporto di Primavera, un documento che offre un quadro sintetico di quello che sta accadendo a livello globale, europeo e nazionale nel settore della sostenibilità. L’edizione 2025, realizzata in collaborazione con Oxford Economics, è intitolata “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050. Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità”.
Tante opportunità per il Paese
Un Rapporto dal quale emerge un dato molto chiaro: la sostenibilità conviene, anche sul piano economico. “La scelta per la decarbonizzazione e per l’economia circolare – si legge – offre al nostro Paese un novero di opportunità, tra cui: maggiore autonomia e costi più bassi dell’energia; elevata competitività (indispensabile anche per reagire ai dazi e alle guerre commerciali), redditività e solidità finanziaria delle imprese; maggiore sviluppo ed equità sociale; miglioramento dello stato della finanza pubblica”.
Da qui la considerazione che ci rimanda al titolo del rapporto: “La falsa contrapposizione tra sostenibilità e competitività è dunque frutto più di narrazioni faziose che dell’effettivo stato delle cose: le aziende italiane che hanno scelto di investire sulla transizione ecologica e digitale hanno aumentato la produttività, migliorato le condizioni finanziarie, ridotto il costo dei nuovi investimenti”.
Competitività e sostenibilità: 4 scenari
Per realizzare il report, l’ASviS in collaborazione con Oxford Economics ha elaborato quattro scenari al 2035 e 2050 per studiare l’impatto della transizione energetica sull’economia italiana, in particolare a livello industriale. Anche qui, i risultati indicano chiaramente i vantaggi derivanti dall’accelerazione della transizione, mentre il suo rallentamento aumenta i costi e riduce i benefici per le imprese e l’intero sistema socioeconomico. I quattro scenari sono denominati:
- Net Zero (decarbonizzazione al 2050)
- Net Zero Transformation (piano di politiche strutturali per la decarbonizzazione sostenute da cospicui investimenti nell’innovazione)
- Transizione Tardiva
- Catastrofe climatica
Elementi del primo scenario
Cominciamo dal primo scenario, Net Zero, che prevede l’introduzione di misure come una carbon tax globale, indispensabile per raggiungere la carbon neutrality nel 2050. Uno scenario che comporterebbe costi significativi nel breve periodo, con pressioni inflazionistiche e una perdita di Pil nel 2035 dell’1% rispetto allo scenario di base.
Dunque, delle conseguenze negative? Assolutamente no, perché con il passare degli anni nello scenario Net Zero la situazione si capovolge: gli investimenti più elevati e le temperature medie più basse stimolerebbero infatti la produttività, cosicché, a partire dal 2045, l’effetto sul Pil diventerebbe positivo, arrivando a metà del secolo al +3,5% rispetto allo scenario di base.
Elementi del secondo scenario
Lo scenario Net Zero Transformation si sviluppa intorno ad un piano di politiche strutturali rivolte alla decarbonizzazione e sostenute da cospicui investimenti nell’innovazione. Agendo in questo modo si otterrebbero risultati nettamente più positivi, grazie alla limitata pressione inflazionistica e alla maggiore diffusione di innovazione e rinnovabili.
In particolare, Net Zero Transformation prevede che già nel 2035 il Pil italiano risulterebbe superiore dell’1,1% rispetto allo scenario di base, e il tasso di disoccupazione sarebbe più basso di 0,7 punti percentuali. Il trend positivo continuerebbe anche dopo quella data, e nel 2050 il Pil italiano risulterebbe superiore dell’8,4%.
Negatività degli altri due scenari
Ben diverse le situazioni che si concretizzerebbero con gli altri due scenari delineati nel rapporto. Con la “Transizione Tardiva”, le conseguenze per l’economia sarebbero molto negative. “Se le politiche di mitigazione venissero attuate solo a partire dal 2030, bisognerebbe introdurre una carbon tax molto più aggressiva, generando forti pressioni inflazionistiche. In questo panorama, il Pil reale sarebbe inferiore a quello tendenziale del 2,4% nel 2035, e il tasso di disoccupazione salirebbe all’8%”.
Infine, nell’ipotesi “Catastrofe climatica”, basta il titolo… L’aumento della domanda di combustibili fossili porterebbe a livelli di emissioni più alti rispetto alla previsione di base, elevata volatilità delle temperature e aumento degli eventi climatici estremi. Nel 2050 il Pil italiano crollerebbe del 23,8% e la disoccupazione raggiungerebbe il 12,3%.
I risultati nel caso più favorevole
Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, si è soffermato soprattutto sulle opportunità offerte dallo scenario più virtuoso: “È a Net Zero Transformation che dobbiamo guardare, rispetto agli altri tre analizzati. Dobbiamo accelerare la transizione, non rallentarla, e sostenerla con investimenti innovativi a tutto campo, perché questo produrrebbe risultati positivi per tutti i settori sia al 2035, sia al 2050, con l’ovvia eccezione dell’estrazione e della produzione di combustibili fossili”.
Ed ancora, Giovannini ha spiegato che “rispetto allo scenario di base, il valore aggiunto della manifattura resterebbe invariato nel 2035, ma crescerebbe del 9,3% nel 2050; quello dei servizi aumenterebbe dello 0,5% nel 2035 e del 5,9% nel 2050; quello delle costruzioni del 6,9% e del 18,2%; quello dell’agricoltura resterebbe stabile nel 2035, ma crescerebbe del 7,1% nel 2050; quello delle utilities del 13,9% nel 2035 e del 52,6% nel 2050 (con la ricomposizione a favore della generazione e distribuzione di energia elettrica da rinnovabili)”.
I benefici per le imprese sostenibili
Nel Rapporto di Primavera sono anche contenute delle analisi che dimostrano come le imprese italiane che investono in sostenibilità aumentano la produttività, la competitività e la solidità finanziaria. Ad esempio, se il 34,5% delle PMI e il 73,8% delle grandi imprese sono già impegnate in attività di tutela ambientale, quelle manifatturiere sostenibili registrano una produttività più alta del 5-8% rispetto alle altre.
Inoltre, quasi il 50% delle imprese italiane ha adottato almeno una pratica di economia circolare con risultati finanziari migliori, maggiori investimenti e minore indebitamento. Il 92% delle imprese familiari e l’89% delle non familiari riconosce che integrare la sostenibilità nel business porta benefici, a partire dalla reputazione e fiducia nel brand: per questo è tra gli obiettivi prioritari dei prossimi tre anni.
Investire nella sostenibilità conviene
Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS, ha sottolineato come “la sostenibilità è una leva strategica per rafforzare il sistema produttivo e sociale del nostro Paese ed è sbagliato pensare che ci sia contrapposizione tra sostenibilità e competitività. Come dimostrano le simulazioni condotte con Oxford Economics, l’inazione ha costi crescenti, mentre investire nella sostenibilità conviene, perché aumenta la redditività delle imprese e genera benessere sociale”.
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