
Come noto ai lettori di NL, dopo le sentenze del Consiglio di Stato, che avevano confermato le decisioni del TAR Lazio, adito da alcuni operatori di rete pregiudicati dai criteri di liquidazione dell’indennizzo per l’anticipato rilascio dei diritti d’uso DTT (cd. refarming della banda 700 MHz), il Ministero aveva rettificato il metodo di calcolo per i network provider ricorrenti, che esercivano diritti d’uso limitati attraverso differenti criteri.
Ma, contestualmente, erano anche partite richieste di altri operatori di rete che, ritenendo ultra partes gli effetti del giudicato, avevano avanzato istanze di ricalcolo.
Richieste a cui il Ministero ha iniziato a rispondere, con note che NL ha potuto esaminare nella convinzione che la vicenda, con ogni probabilità, avrà ulteriori, importanti, evoluzioni giudiziarie.
Sintesi
Prosegue il dibattito sulle conseguenze giuridiche delle sentenze del Consiglio di Stato che hanno annullato parte del DM 27/11/2020 relativo agli indennizzi agli operatori di rete DTT per il rilascio anticipato delle frequenze in banda 700 MHz, destinate al 5G.
La questione trae origine da alcuni ricorsi introdotti da alcuni network provider penalizzati dai criteri di calcolo (basati su popolazione del solo comune di insistenza impiantistica, anziché sull’effettiva copertura del diffusore oggetto di dismissione), ad esito dei quali il Consiglio di Stato aveva confermato le decisioni favorevoli del TAR Lazio, definendo irragionevoli e discriminatorie le disposizioni dei commi 11 e 12 del decreto ministeriale.
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) aveva, quindi, adottato il DM 6177/2025 per ottemperare alle sentenze, introducendo un nuovo criterio forfettario di indennizzo: il 50% della popolazione provinciale per operatori con più impianti e il 25% per chi opera con un solo impianto.
Tuttavia, la revisione (a prescindere dalla condivisione del nuovo metodo) era stata applicata esclusivamente ai soggetti ricorrenti, poiché il dicastero aveva ritenuto che gli effetti delle sentenze non avessero effetti ultra partes (cioè non vincolassero l’amministrazione rispetto ad operatori non coinvolti nel giudizio).
Ciò ha generato una serie di istanze di ricalcolo da parte di altri operatori nella stessa situazione, verso le quali il Ministero ha risposto (prevedibilmente) in forma negativa, creando i presupposti di nuove azioni giudiziarie sulla scorta della decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 4/2019), che ha ritenuto l’annullamento di una norma regolamentare efficace verso tutti i destinatari.
Il rifiuto ministeriale di applicare il nuovo criterio oltre i casi specifici giudicati potrebbe pertanto riaprire la questione davanti ai tribunali amministrativi, prolungando ulteriormente la vicenda.
Recap delle decisioni del Consiglio di Stato
Per analizzare compiutamente la questione, come sempre, effettuiamo un recap della vicenda giudiziaria.
La controversia (di cui ci siamo occupati su queste pagine a marzo 2024) origina dall’applicazione del DM 27/11/2020 per la quantificazione degli indennizzi destinati dalla L. 205/2017 agli operatori di rete locali per il rilascio delle frequenze DTT destinate alle reti 5G.
Indennizzi risibili a fronte di un servizio radiodiffusivo importante
Nel dettaglio, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy – in esecuzione del suddetto decreto ministeriale – aveva riconosciuto ad alcuni network provider un importo calcolato sulla base della popolazione residente nei comuni (uno per una delle società appellate, vittoriose in primo grado) in cui erano ubicati i diffusori dismessi e non già sulla base dell’illuminazione assicurata dagli stessi.
Criteri irragionevolmente penalizzanti
Così, alcuni soggetti, ritenendo l’applicazione dei criteri relativi ai commi 11 e 12 dell’art. 3 del DM 27/11/2020 irragionevolmente penalizzanti per gli operatori con diritti d’uso limitati, avevano impugnato i provvedimenti, ricevendo conferma delle proprie tesi prima dal TAR e poi dal Consiglio di Stato.
Primo grado favorevole ai ricorrenti
In primo grado, infatti, il TAR Lazio aveva accolto i ricorsi per le medesime ragioni, evidenziando peraltro la contraddittorietà del sistema normativo.
L’appello
I dicasteri soccombenti avevano però presentato appello, difendendo la conformità dei criteri adottati al quadro giuridico di riferimento ed alle specificità dei casi trattati.
Le argomentazioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, esaminata la questione centrale e fornendo un’interpretazione maggiormente conforme al quadro tracciato dalla L. n. 205/2017, nonché a quanto dichiarato dagli stessi ministeri nel prologo del ridetto DM, aveva espresso una serie di considerazioni.
I due fattori di calcolo per gli indennizzi
La prima argomentava che, secondo il DM 27/11/2020, il calcolo degli indennizzi si basa su due fattori ben distinti: la popolazione servita ed il numero di impianti eserciti.
I criteri di cui all’art. 3 del DM 27/11/2020
La norma di cui all’art. 3 ha infatti previsto diversi criteri per diritti d’uso completi, condivisi o limitati.
Segnatamente, il comma 9 per diritti d’uso completi (l’indennizzo si basa sulla popolazione dell’intera provincia); il comma 10 per diritti condivisi (il calcolo divide la popolazione provinciale tra gli operatori presenti); il comma 11 per diritti limitati a più impianti (si considera esclusivamente la popolazione dei comuni dove sono situati gli impianti); il comma 12 per diritti limitati ad un solo impianto (si considera esclusivamente la popolazione del comune dove è situato l’impianto).
Disparità di trattamento
Questa frammentazione aveva generato, secondo il giudizio del TAR prima e del Consiglio di Stato poi, una disparità di trattamento ed una contraddizione intrinseca rispetto ai principi generali del decreto.
Principio generale
Il Consiglio di Stato aveva quindi richiamato il principio generale del DM 27/11/2020, secondo cui “l’indennizzo dovrebbe essere calcolato tenendo in considerazione la popolazione residente nelle province oggetto dei diritti d’uso”.
Contraddizioni ed irragionevolezza del Regolamento ministeriale
Tuttavia, il supremo consesso di giustizia amministrativa aveva evidenziato che i commi 11 e 12, che interessavano i casi trattati, derogavano irragionevolmente a tale principio sovraordinato, limitando il calcolo ai comuni (comma 11) od al comune (comma 12) di ubicazione delle risorse radioelettriche; criterio “apparendo oltremodo penalizzante e illogico”.
Il caso concreto
Un esempio emblematico era quello di uno dei ricorrenti, un operatore di rete in Emilia Romagna che, sebbene il suo diritto d’uso coprisse due province, con una popolazione complessiva di centinaia di migliaia di abitanti, aveva visto parametrato l’indennizzo solo ai residenti del comune di insistenza fisica del suo diffusore, con una quota risibile di 11.137 abitanti.
Formula intermedia che contempera gli interessi in gioco
Secondo il Consiglio di Stato, questa limitazione contrastava con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, apparendo necessario individuare una formula intermedia che contemperasse gli interessi in gioco.
La decisione finale
“In presenza di situazioni eterogenee, non può sussistere disparità di trattamento, ma la regolamentazione deve essere coerente e proporzionata”, si legge infatti nei provvedimenti che accoglievano le ragioni degli operatori di rete.
Precedente importante
Le sentenze del Consiglio di Stato (che hanno rappresentato un precedente importante per i network provider locali) importavano quindi la necessità di individuare, da parte del MIMIT, criteri equi e razionali per la liquidazione degli indennizzi di specie.
I criteri per l’ottemperanza del MIMIT
Per ottemperare alle sentenze del Consiglio di Stato, il MIMIT aveva, pertanto, adottato in data 20/02/2025 un decreto (n. 6177/2025), pubblicato sul sito istituzionale (il cui contenuto NL aveva anticipato qualche giorno prima) che aveva ridefinito i criteri di ripartizione delle risorse destinate agli indennizzi. La nuova metodologia appariva, però, basata ancora su un criterio forfettizzato, distinguendo tra le due fattispecie di diritto d’uso “limitato”.
Due categorie di calcolo
Nel dettaglio, relativamente al caso di diritti d’uso limitati “per motivi radioelettrici” che erano eserciti da operatori di rete attraverso più impianti di diffusione, il MIMIT aveva ritenuto, col DM 6177/2025, “ragionevole” un indennizzo calcolato sul 50% della popolazione della provincia o delle province formalmente interessate dal servizio. Viceversa, per diritti d’uso limitati “per motivi radioelettrici” ed eserciti con un solo impianto, l’indennizzo era stato ritenuto congruo nella misura del 25% della popolazione della provincia o delle province formalmente interessate dal servizio.
Il punto di vista ministeriale
Secondo il MIMIT, questa ripartizione avrebbe comportato, infatti, una maggiore equità nella distribuzione delle somme, tenendo maggiormente conto del bacino di utenza che veniva raggiunto da ciascun operatore.
La logica della ripartizione
Più a fondo, il Ministero aveva giustificato la scelta di queste percentuali in base al principio di proporzionalità, sottolineando come un operatore con più impianti avesse una copertura maggiore e quindi un peso economico più alto rispetto a chi gestiva una singola infrastruttura.
Posizione non condivisa
Una posizione prevedibilmente non condivisa da alcuni dei ricorrenti, che avevano anticipato a NL una nuova azione giudiziaria poiché il nuovo decreto comportava, comunque, elementi di arbitrarietà inconciliabili con il perimetro di oggettività richiesto al Ministero dal CdS.
Gli importi rideterminati
Per semplificare, il vulnus riguarda l’adozione di grossolane scale del 50 e 25%, nonostante l’esistenza di strumenti informatici del Ministero, adottati per i bandi per l’assegnazione dei diritti d’uso agli operatori di rete, che consentirebbero la determinazione precisa delle teste illuminate, riducendo, se non eliminando tout court, l’alea di arbitrarietà invece sopravvissuta a questa nuova determinazione dei criteri.
Le perplessità per un intervento ministeriale limitato alle ricorrenti
Ma la questione più rilevante, anticipata da Newslinet nel primo approfondimento, era il motivo in base al quale la revisione attuata dal MIMIT non avesse riguardato tutti gli operatori di rete che avevano a suo tempo rilasciato i diritti d’uso in conseguenza del refarming della banda 700 MHz (che ne aveva imposto una riduzione di durata rispetto al provvedimento di attribuzione) e che si trovavano nelle medesima situazione delle ricorrenti (diritti d’uso limitati e non condivisi), avendo il giudizio amministrativo composto la controversia espungendo dall’Ordinamento le impugnate disposizioni di cui ai commi 11 e 12 del DM 27/11/2020.
Ultra partes
Regolamento che, secondo alcuni dei giuristi coinvolti nella vicenda (MCL Avvocati Associati, law firm che cura in esclusiva l’Area Affari Legali di Consultmedia, principale struttura italiana di competenze a più livelli in ambito radiotelevisivo), non trovava ovviamente applicazione solo alle ricorrenti, ma aveva, come tutte le disposizioni regolamentari, efficacia verso tutti i soggetti destinatari del DM 27/11/2020. In definitiva, i cosiddetti effetti ultra partes di una sentenza del giudice amministrativo.
Le prime istanze di revisione
E proprio sulla base di tale ragionamento immediatamente dopo la pubblicazione del DM 20/02/2025 (e quindi di conoscenza ufficiale della vicenda) erano partite le prime istanze di revisione prodotte al MIMIT da terzi.
Domande che, però, hanno trovato da parte della P.A. uno sbarramento fondato sulla ritenuta non efficacia ultra partes dei provvedimenti giudiziali in esame.
La posizione del Ministero
“I casi di giudicato amministrativo aventi effetti ultra partes sono (…) del tutto eccezionali e possono trovare giustificazione nella sola inscindibilità degli effetti dell’atto ovvero nell’inscindibilità del vizio dedotto. In particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame parimenti indivisibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile che l’atto annullato possa esistere per i soggetti destinatari che non lo hanno impugnato“, si legge nella risposta del MIMIT ad un soggetto che aveva avanzato richiesta di revisione e che NL ha potuto esaminare.
Effetti inter partes
“Nel caso di specie, le norme regolamentari travolte dal giudicato amministrativo (art. 3, commi 11 e 12 del DM 27 novembre 2020), seppure dirette ad una pluralità di destinatari, non consentono di individuare il suddetto legame di indivisibilità. Devono, pertanto, mantenersi distinti gli effetti caducanti del giudicato, che si dirigono erga omnes, dagli effetti conformativi, ordinatori, additivi o di accertamento della fondatezza della pretesa azionata, che operano solo nei confronti delle parti del giudizio.
MIMIT rimane fermo sulle proprie posizioni a riguardo degli effetti ultra partes
Per tali motivi, il decreto direttoriale prot. 6177 del 20/02/2025, in esecuzione delle richiamate sentenze, è intervenuto a modifica dei soli decreti direttoriali con i quali furono, originariamente, concessi gli indennizzi a favore delle parti ricorrenti in giudizio, limitatamente alle posizioni di quest’ultimi e, in particolare, ai criteri di calcolo in precedenza utilizzati”, conclude il Ministero.
La massima del Consiglio di Stato (sentenza n. 4/2019 dell’Adunanza Plenaria)
Quindi?
“In realtà – ci spiega MLC Avvocati Associati – la sentenza n. 4/2019 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – che svolge, nell’ambito della giurisdizione amministrativa, una funzione nomofilattica (cioè finalizzata a garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, e di risolvere eventuali contrasti interpretativi tra le giurisprudenze inferiori) – da cui è prelevata la sezione riportata sopra della risposta del MIMIT, stabilisce che producono effetti ultra partes, tra gli altri, “l’annullamento di un regolamento (l’efficacia erga omnes in questo caso trova una base normativa indiretta nell’art. 14, comma 3, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, che, proprio presupponendo tale efficacia, prevede che il decreto decisorio di un ricorso straordinario che pronunci l’annullamento di un atto normativo deve essere pubblicato nelle stesse forme dell’atto annullato)”.
Massa di ricorsi in arrivo?
Sulla base di tali considerazioni, è altamente probabile che i dinieghi alle istanze di ricalcolo delle misure di indennizzo saranno impugnati al TAR riaprendo i termini dell’analisi giudiziale di una vicenda che appare lontana dal concludersi. (A.N. per NL)
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