13 Maggio 2025
FORMAZIONE CONTINUA/ Il “potenziamento” necessario per aiutare il lavoro in Italia


Formazione, formazione, formazione. È un obiettivo condiviso da tutti gli attori del mercato del lavoro. Sia con i fondi tradizionali del Fse che con gli investimenti straordinari del Pnrr si è investito sulla crescita della formazione lungo tutto l’arco della vita lavorativa delle persone. A questi impegni finanziari si sono aggiunti i fondi per le Nuove competenze stanziati dal ministero del Lavoro per potenziare le competenze digitali e “green”.


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I risultati segnano un passo avanti deciso nella posizione del nostro Paese. Guadagniamo 4 posti, dal 18esimo al 14esimo, nel confronto europeo. Restiamo sotto la media, ma segniamo un’inversione di tendenza rispetto alla stasi storica che avevamo nel settore della formazione degli adulti.

I risultati sono stai ottenuti con 550mila lavoratori coinvolti nei programmi finanziati dal Fondo nuove competenze e i due milioni che hanno partecipato ai programmi proposti dai fondi interprofessionali. I nuovi fondi appena stanziati per le Nuove competenze si prevede che coinvolgano un milione di lavoratori.



Sono questi i dati messi in rilievo dal 25° Rapporto sulla formazione continua presentato dall’Inapp, istituto per l’analisi delle politiche pubbliche, per conto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

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L’impegno che da qualche anno è stato messo nel migliorare l’azione di tutti gli attori coinvolti nel sostenere la formazione per gli adulti sta dando frutti. Emerge il ruolo centrale dell’azione dei fondi interprofessionali che può ancora crescere con un maggiore coinvolgimento delle imprese e dei territori. Fondamentale è stata la scelta di chiamarli in causa nei servizi rivolti agli inserimenti lavorativi e nell’attribuzione dei servizi per la certificazione delle competenze.



Il tasso di partecipazione alle attività di formazione ha visto un incremento di due punti percentuali nel 2023 rispetto all’anno precedente, portando il risultato complessivo all’11,6%. La partecipazione dei lavoratori occupati è stata pari al 13%.

Vediamo però dentro alla positiva crescita complessiva i temi critici che emergono anche dai dati della formazione continua. Intanto i divari di genere e geografico permangono. La frequenza a corsi di formazione risulta più alta nel centro-nord dove è anche superiore la partecipazione femminile rispetto a quella maschile. Nel sud si abbinano invece una bassa partecipazione complessiva con una più bassa partecipazione femminile. Pesa inoltre la sensibilmente minore partecipazione dei dipendenti delle Pmi. Il potenziamento delle reti territoriali e dell’iniziativa dei fondi interprofessionali è determinante per adeguare l’offerta di corsi alla struttura del nostro sistema produttivo.

La formazione continua ha come obiettivo quello di mantenere e migliorare l’occupabilità delle persone durante il percorso lavorativo. Con l’impatto delle trasformazioni tecnologiche la digitalizzazione e sostenibilità devono inoltre contribuire a contenere il mismatching esistente fra competenze dei lavoratori ed esigenze delle imprese. Registriamo qui i dati che più dovrebbero portare a correttivi nelle iniziative dei prossimi mesi.

La partecipazione alle proposte formative aumenta al crescere del titolo di studio posseduto dai lavoratori. Si passa dal 21,6% dei lavoratori high-skilled al 5% dei low-skilled. Rileva inoltre il rapporto che il tasso di partecipazione di disoccupati inseribili al lavoro è solo il 6,9%.

Questi due ultimi dati ci dicono che vi sono questioni di fondo delle nostre politiche del lavoro che pesano anche sui risultati della formazione continua. I percorsi formativi ed educativi sono la base essenziale per portare fuori dalla povertà, anche lavorativa, chi parte dal fondo della società. Per perseguire questo impegno lungo tutto l’arco della vita il tasso di partecipazione dei lavoratori low-skilled impegnati in corsi di formazione dovrebbe decuplicare.

Data la struttura del sistema di imprese italiano solo una rete operativa sui territori fra fondi, enti formativi e istituzioni può porre le basi per un’iniziativa che sia assieme di risposta al mismatching formativo e di promozione sociale.

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Una valutazione simile viene dal basso coinvolgimento di disoccupati. La prevalenza di interventi solamente di politiche passive durante i periodi di disoccupazione è alla base di risultati insoddisfacenti sia per i fondi di solidarietà che per l’avvio delle iniziative dei fondi interprofessionali. Senza un indirizzo deciso delle politiche attive del lavoro per una maggiore personalizzazione dei servizi proposti e una valutazione dell’efficacia degli inserimenti lavorativi avremo sempre scarsi risultati nel percorsi di sostegno durante le transizioni fra un’occupazione e l’altra.

La crescita della certificazione delle competenze potrà fare crescere la consapevolezza che proprio nelle fasi di passaggio lavorativo e di trasformazione tecnologica nelle imprese vanno fatti i maggiori investimenti sulla formazione dei lavoratori. Valutazione delle competenze che sempre più dovrà vedere la valorizzazione sia di quelle formali che di quelle attitudinali della persona, oltre a quelle maturate attraverso gli scambi intergenerazionali sul lavoro stesso.

Il passaggio necessario è infine quello di una programmazione degli investimenti in formazione che vedano la partecipazione dei lavoratori quanto del management aziendale e che questo impegno arrivi alle imprese di ogni dimensione. Solo una coscienza diffusa dell’importanza dell’investimento sulle competenze di ciascuno con continuità può segnare una svolta in quel mismatching che caratterizza ancora pesantemente il nostro mercato del lavoro.

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